Bukit Lawang, Sumatra: trekking nel parco degli oranghi

[alert type=”success” dismiss=”no”]L’articolo è una tappa del viaggio di Sara e Filippo a Sumatra. Leggi l’itinerario completo qui »[/alert]

Manca poco più di una settimana alla fine del nostro viaggio a Sumatra. Ci troviamo immersi nella verdissima natura della valle di Harau, vicinissimi all’equatore e decidiamo di concludere la nostra avventura dedicandoci ai trekking nella giungla organizzati al parco di Bukit Lawang, che si trova a nord-est dell’isola, vicino alla capitale, Medan. Ci distanziano 180 km, che con i mezzi locali potrebbe significare un giorno intero di viaggio. La strada infatti, sebbene sia il corrispettivo locale di una superstrada, è asfaltata solo a tratti, consumata dalle piogge e dalle frane. Ma anche stavolta la fortuna e la cortesia del popolo indonesiano ci vengono in soccorso e il giorno prima di partire conosciamo Deddy, una guida del posto, che sta concludendo un percorso con due turisti olandesi, e si offre di accompagnarci a Medan, dove è comunque diretto, per un prezzo decisamente ragionevole. Deddy parla un inglese perfetto ed è quella che potremmo definire una guida “di lusso”: lavora infatti per un’agenzia che gli affida esclusivamente turisti olandesi che accompagna dal primo all’ultimo giorno, arrangiando tutti gli spostamenti e le sistemazioni per conto loro. Ci diamo appuntamento per il giorno dopo di fronte ad un hotel che riusciremo a raggiungere con un minivan privato che è un ibrido tra un taxi e un bus di linea. L’autista infatti viene spesso chiamato al cellulare e concorda le fermate per raccogliere avventori raccattandoli per strada. Dopo decine di deviazioni e fermate arriviamo al famigerato hotel dove Deddy ci aspetta col suo Suv nero laccato.

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Dopo neanche dieci minuti ci propone una piccola sosta per vedere il fiore della Rafflesia arnoldii, la pianta con il fiore singolo più grande del mondo, occasione praticamente unica. Ci fermiamo in un piccolo villaggio e veniamo affidati ad un’altra guida che ci porta verso il fiore, in un percorso tanto ripido quanto scivoloso. Ovviamente il fiore si trova in cima a una collina di fango e raggiungerlo non è uno scherzo, soprattutto perché la guida cammina a ritmo sostenuto. Il fiore però ci ripaga di tutta la fatica: è davvero enorme, il suo diametro sfiora il metro ed essendo maschio non puzza neanche tantissimo (la Rafflesia è detta anche fiore cadavere per la puzza di carne in putrefazione che la contraddistingue). Scopriamo poi che nel villaggio si produce il noto caffè “Kopi Luwak”, un tipo di caffè ingerito, digerito e defecato dallo zibetto delle palme. Costosissimo, questo caffè è davvero rinomato, anche se il suo processo produttivo non è esattamente poetico. Ci fermiamo a casa di una signora che ci recita sapientemente un monologo studiato apposta per i turisti, che spiega le fasi produttive del caffè e il fatto che qui i Luwak vivono liberi nella foresta e gli abitanti del villaggio raccolgono i “frutti” del lavoro intestinale degli zibetti, a differenza di altri che invece tengono i Luwak in gabbia. Il prodotto finale è dunque superiore, perché gli zibetti mangiano solo prodotti della foresta. Forti anche noi della causa degli zibetti in libertà compriamo dei pacchetti di caffè, costoso anche per gli standard indonesiani. Lo regaleremo a parenti vari e la scoperta dei metodi di produzione non affascineranno proprio tutti.

Rafflesia
© Filippo Bortolon

Il viaggio (18h) prosegue senza intoppi: attraversiamo l’equatore, vediamo il lago Toba dal finestrino (meta che preferiamo saltare per guadagnare qualche giorno in più nella giungla), assaggiamo i pesci fritti più piccanti al mondo in una specie di autogrill, e non chiudiamo occhio visto che definire la strada dissestata è decisamente farle un complimento. La strada infatti è perlopiù bianca, attraversata da crateri e trafficata, soprattutto da camion che circolano per tutta la notte. Deddy però è un bravo autista e all’alba arriva a Medan. Insiste per portarci a casa sua, una villetta dove abita con la moglie e due bimbi. A casa sono tutti svegli, anche se sono le cinque del mattino. Ci accolgono con una meravigliosa colazione salata: una foglia di banana come piatto e riso con le verdure. Dopo qualche risata coi bimbi lasciamo la famiglia di Daddy che ci accompagna alla vicina stazione dei bus, dove prenderemo la corriera per il parco nazionale di Bukit Lawang.

Appena arrivati a Bukit Lawang capiamo subito che il flusso di turisti qui è davvero più importante: il villaggio sembra plasmato sulla necessità di accogliere persone e una guesthouse si affianca all’altra. Un torrente costeggia le case e un piccolo mercato pieno di souvenirs e magliette attraversa l’abitato. Un’orda di turisti australiani affolla i bar delle guesthouse e lo spirito dei locali è decisamente diverso rispetto al resto dell’isola: è evidente che le persone qui sono abituate ai visitatori, tutti parlano inglese con disinvoltura e contrattano amabilmente con gli ospiti. Anche le sistemazioni per i turisti sono diverse: ci sono gli hotel più lussuosi vicino al fiume, con personale in divisa e camere con vista e quelle più spartane, gestite da ragazzi del posto o europei innamorati dell’Indonesia. Anche le serate, che in altri posti dell’isola passavano silenziose, qui sono animatissime, tra concerti, happy hour e festicciole. Noi siamo qui per la giungla comunque, e per sperare di vedere qualche esemplare di orango (Pongo abelii), che qui vive libero in natura. Subito ci ricordiamo del riferimento di una guida raccomandata da Deddy e non facciamo fatica a trovarla, dato che qui tutti si conoscono. È Rinto, un giovane ragazzo indonesiano sposato con una ragazza olandese, che passa metà dell’anno a Sumatra e l’altra metà in Olanda, dove ogni anno lascia moglie e figlioletto. Con lui organizziamo un trekking di due giorni, che dividiamo con un ragazzo olandese.

Rinto ci spiega quello che sarà il percorso, che ci fermeremo a dormire in riva ad un torrente e che vedere gli oranghi non è ovviamente garantito. Il parco nasce come centro di riabilitazione per oranghi nel 1973, fondamentalmente per preservare la specie dalle minacce di estinzione causate dalla deforestazione, problema evidente pochi km prima di arrivare nel parco. Il paesaggio infatti, rispetto al selvaggio sud, qui è decisamente addomesticato: le palme per l’omonimo olio costeggiano ordinate le strade (stavolta asfaltate) ed enormi insegne che delimitano le proprietà delle aziende sovrastano le colline. Il parco resta un’isola verde, anche se continuamente minacciato da chi vorrebbe anteporre gli interessi industriali a quelli degli abitanti della foresta.

Bukit Lawang
© Filippo Bortolon

Partiamo coi nostri zaini carichi: il contenuto fondamentalmente comprende un sacco lenzuolo per la notte, acqua, una felpa e ovviamente la macchina fotografica. Per il cibo e l’acqua extra ci pensano Rinto e un accompagnatore che ci raggiunge durante la camminata e per la notte. La giungla è come te la immagini: verde, intricata e fitta, tanto che a ogni angolo c’è qualcosa per cui vale la pena fermarsi. Gibboni e scimmie saltano altissime sopra le nostre teste. Il cielo quasi non si vede tante le foglie degli alberi ma spesso scorgiamo uccelli spiccare il volo dalle fronde. Incontriamo altri gruppi durante le loro escursioni: alcuni hanno concentrato la gita in un giorno solo, scelta che a nostro avviso non rende grazia alla giungla, dato che passare una notte all’aperto ripaga ampiamente di tutta la fatica. Tra l’altro i gruppi che incontriamo sono piuttosto chiassosi e numerosi: Rinto ci spiega che purtroppo alcune guide pur di garantire ai turisti la vista degli animali li attirano col cibo. Lui non sposa questa scuola di pensiero fortunatamente, ribadendo più volte che la possibilità di fare escursioni nella giungla sia un’opportunità che non deve andare ad interferire coi ritmi della natura.

Il primo giorno passa faticoso tra una salita e una discesa: Rinto conosce bene il percorso e al tramonto arriviamo in uno spiazzo vicino ad un ruscello dove passeremo la notte. Intanto ci raggiunge anche un’altra guida che cucina un pasto frugale ma gustoso. Le due guide si daranno il cambio per dormire perché esiste la possibilità che la temibile tigre passi a farci visita, eventualità che fortunatamente non accade. La notte sveglia centinaia di insetti enormi: tra formiche mastodontiche, falene e mantidi davvero dormire è arduo. La notte comunque passa tranquilla e, cullati dai rumori della natura ci addormentiamo. Il giorno dopo l’escursione continua e finalmente incontriamo gli oranghi: l’emozione nel poter osservare anche per pochi minuti questi meravigliosi primati è davvero indescrivibile. Incontriamo una giovane mamma mentre gioca col suo piccolo e dei giovani maschi che si rincorrono tra gli alberi. Felicissimi per aver concluso l’escursione in bellezza torniamo al villaggio dove ci aspetta una bella dormita.

Le attività da fare nel villaggio sono molte: a parte farsi intrattenere dai pittoreschi abitanti, si può fare rafting sul fiume, mangiare dolcissimi frutti tropicali in uno dei tanti ristorantini, o starsene distesi su un’amaca facendosi cullare dai ritmi rallentati di questo angolo di mondo pulsante di vita, di tradizione e soprattutto natura.

Il viaggio a Sumatra, dopo venti intensi giorni, è giunto al termine. Anche l’aeroporto di Medan, come quello di Padang, è piccolo e informale. Ci aspetta un lungo viaggio per rientrare a casa, ma i ricordi di questa bella avventura riempiranno le ore d’aereo.

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