[alert type=”success” dismiss=”no”]L’articolo è una tappa del viaggio di Sara e Filippo a Sumatra. Leggi l’itinerario completo qui »[/alert]
Ci lasciamo alle spalle il villaggio di pescatori di Sungai Pinang. Nonostante la voglia di restare è tanta, è tanta anche la curiosità di esplorare il resto di Sumatra. Rimpacchettiamo i nostri zaini e ci facciamo accompagnare da uno dei ragazzi della “crew” di Ricky, dove abbiamo soggiornato, a Padang, in quella che sarebbe dovuta essere una stazione degli autobus, ma che somiglia più a un’autorimessa mal organizzata. Grazie alla pronta traduzione del nostro autista troviamo l’autobus, ci mettiamo comodi e partiamo alla volta di Bukittinggi. Come tutti i mezzi qui in Indonesia anche questo bus è affollatissimo e stipato di persone, borse della spesa e bagagli di ogni genere. L’autista della corriera, come del resto quasi tutti gli automobilisti qui, appena ha visto occupato anche l’ultimo centimetro di sedile è subito sfrecciato nel traffico di Padang. E per sfrecciato intendo davvero sfrecciato, al punto di accodarsi a un’ambulanza a sirene spiegate per guadagnare qualche metro. Non a caso gli incidenti sono all’ordine del giorno, sia per le imprudenze degli automobilisti che per lo stato delle strade, spesso non asfaltate e piene di enormi crateri. Dopo una breve sosta in una stazione di servizio (senza però scendere: “l’autogrill” ambulante è salito in corriera) siamo arrivati a destinazione.
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Bukittinggi è una città piuttosto grande, la seconda della parte occidentale di Sumatra, anche se in verità conta appena 117.000 abitanti, ma richiama parecchi turisti locali. Il centro è piuttosto pittoresco, animato da un grande mercato, ma anche da locali all’occidentale: KFC, McDonald e perfino caffè Illy. Appena arrivati ci siamo sistemati in un piccolo alberghetto, l’Hello Guesthouse, un posticino senza infamia né lode, che però richiama tutti i turisti occidentali che passano di qui. Dopo una breve passeggiata e una cena frugale abbiamo convenuto che questa cittadina, seppur graziosa, non meritava più di un giorno di visita e ci siamo informati con una guida locale, di casa all’Hello Guesthouse, su come sposarci nella vicina Harau valley. Come tutti qui in Indonesia la guida ci ha fornito tantissime informazioni altrimenti introvabili, compresi numeri e orari di bus, e ha chiamato i proprietari di un homestay nella Harau valley per prenotarci un bungalow il giorno successivo. In cambio abbiamo scattato alcune fotografie insieme e subito le abbiamo postate su Facebook, perché, a sua detta, gli sarebbero valse come pubblicità con altri turisti.
La mattina dopo siamo ripartiti per la valle di Harau. Ci siamo recati alla stazione di Bukittinggi e abbiamo cercato la nostra corriera. Dopo una buona mezz’ora di ricerche abbiamo trovato il mezzo: una corrierina vecchissima, coi sedili scoloriti da almeno dieci anni e buchi sul pavimento. Per non farci mancare niente anche qualche fumatore incallito a bordo. Siamo comunque partiti e nel giro di un’ora arrivati a destinazione. La corriera però non ci ha portati da Abdi Homestay, la nostra meta finale, ma in una stazione di un paesino vicino. Siamo andati alla ricerca di un tuk-tuk ma qui, a differenza degli altri posti, e probabilmente per il numero maggiore di turisti, gli autisti sembravano più agguerriti nella contrattazione del prezzo per il viaggio, impuntandosi su cifre esorbitanti. Fortunatamente con l’aiuto di un turista bielorusso che masticava un po’ di indonesiano siamo arrivati a un prezzo ragionevole e ci siamo fatti portare da Abdi.
Il paesaggio della Harau Valley è totalmente diverso dal resto dell’isola di Sumatra. Roccia viva si alza altissima, tagliata da aspri ruscelli o interrotta da distese di risaie. Il paesaggio è impressionante e meta importante di arrampicatori sportivi. L’angolo di paradiso di Abdi sorge qui, tra picchi rocciosi e morbide colline. Anche il clima è diverso: la sera fa più fresco e visto che siamo più vicini all’equatore il sole tramonta nel giro di cinque minuti alle sei in punto. L’homestay è composto da tre bungalow che richiamano l’architettura Minangkabau, tipica della zona, coi tetti a punta che ricordano le corna di un bufalo. I bungalow sono curati nel dettagli, anche se senza corrente, tutti con una veranda dove cenare la sera e un’amaca dove riposare. Abdi e suo fratello gestiscono questo posto e organizzano gite nei dintorni. Il giorno dopo infatti approfittiamo di loro e organizziamo una gita in motorino in zona, alla scoperta della cultura Minangkabau. Visitiamo la casa degli antichi imperatori Minangkabau, meta di grande richiamo turistico locale. Anche se ufficialmente chiusa al pubblico perché in restauro (un incendio anni prima ha distrutto quasi tutto), le nostre guide riescono a farci fare un giro veloce all’interno: tutto l’edificio è decorato con motivi rossi e dorati e c’è un piccolo museo con abiti e utensili tipici. Nel giardino scopriamo con sorpresa di essere anche noi piccole attrazioni turistiche: più volte infatti veniamo fermati da studenti che ci chiedono di scattare fotografie insieme.
Finalmente ci fermiamo a mangiare e non c’è cosa migliore che farlo con gente del luogo. Scopriamo una divertente tradizione culinaria Minangkabau: qui non esiste il menù, ma tutti i piatti vengono serviti al tavolo, poi l’avventore pagherà solo quelli effettivamente consuma. Per noi è meraviglioso perché ovvia il problema della traduzione e soprattutto ci consente di assaggiare praticamente tutto. Il ristorante non conosce turisti ma solo locali e questo per noi è già garanzia di qualità: per completare il quadro un improbabile karaoke su uno schermo. Finalmente riusciamo a farci insegnare una tecnica soddisfacente per mangiare con le mani: è più arduo di quanto sembri.
Per concludere la gita una visita a una piccola cooperativa che produce banane secche e caffè. Qui racimoliamo qualche souvenir (altrimenti introvabile), tra banane, borsette e stecche di cannella. Poi torniamo verso la casa di Abdi, ricchi di immagini bellissime e preziose informazioni su un’etnia prima a noi sconosciuta.
La giornata seguente la passiamo in tranquillità, gironzolando senza meta nei dintorni. Scopriamo una bella passeggiata vicino a un laghetto, sgranocchiamo qualche kropok (tapioca fritta) e conosciamo quello che sarà il nostro autista nella via per Medan, ultima tappa del nostro viaggio.
[alert type=”success” dismiss=”no”]Il viaggio di Sara e Filippo a Sumatra continua. A breve il prossimo articolo »[/alert]