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Le Isole Eolie di Nanni Moretti

Non è difficile imbattersi durante un soggiorno alle Isole Eolie in quello che si può definire turismo cinefilo. Gli esempi possono essere tanti, visto che questo arcipelago fin dagli anni ’40 è stato un enorme set dove la macchina da presa si è più volte fermata: dai più romantici che sono a caccia dei paesaggi e delle ville che fecero da cornice all’amore tra Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, ai più lirici estimatori di Massimo Troisi che puntano direttamente a Salina, girando nel borgo di Pollara per vedere la casa de Il Postino.

Decisamente meno poetica e lontana dai luoghi comuni è l’immagine che negli anni ’90 ci restituisce Nanni Moretti in Isole, secondo capitolo di Caro Diario. Niente rigogliose bouganville o vedute mozzafiato al tramonto, ma una satira di costume che sfocia nel grottesco e che si serve delle stesse isole per portarla fino in fondo. Tutti i luoghi vengono rappresentati con una regia fisica e allo stesso tempo astratta. Anche se parte di un arcipelago, ogni isola è un microcosmo a sé dove le problematiche del mondo contemporaneo vengono esasperate in un’iperbole che a tratti fa ridere, a tratti riflettere.

Il protagonista è lo stesso Nanni Moretti, in fuga dal traffico e dalla confusione di Roma per cercare di dare un ordine ad appunti, ritagli e idee per un film. Decide di andare a trovare l’amico Gerardo che da ben undici anni si è isolato dal mondo per studiare Joyce. Gerardo vive a Lipari, prima tappa di un Moretti/Ulisse che dovrà affrontare gli echi esasperati di una problematica vita sociale. Circe e le sirene erano bazzecole. Giunto al porto Nanni trova ad aspettarlo, oltre all’amico Gerardo, un traffico di auto degno della capitale: automobili in fila o parcheggiate, clacson che inghiottono le parole dei protagonisti. L’ambiente è descritto dalle auto, nei vicoli stretti a senso unico, dilatandone la claustrofobia, dalla mattina alla sera: lo sfondo paesaggistico dell’isola soccombe totalmente. Solo quando i due amici stanno lasciando l’isola e sono per mare verso un più calmo approdo, vediamo sullo sfondo le cave di pietra pomice di Lipari. E sono qualcosa di perduto, mancato, ormai alle spalle del traghetto e del profilo di Moretti.

L’isola di Salina è all’apparenza meno caotica: il protagonista riesce a passeggiare nella quiete attorno al piccolo faro mentre un traghetto ne sottolinea la sagoma sullo sfondo. Sotto questa presunta pace cova qualcosa di terribile: un’isola in cui gli adulti sono succubi dei figli unici. Memorabile la gag del telefono – che fa il verso a uno spot di un gioco per bambini di quegli anni – dove questi adulti sottomessi sono costretti a grugnire e abbaiare ai ragazzini, impossessatisi dell’intera rete telefonica.

Un ultimo assaggio della desertica Salina ce lo regala l’autore iniziando con un campo lungo: Nanni cammina accanto alle case dai muri scrostati dal vento e dal sale per arrivare a quella lingua di spiaggia adiacente al faro: sabbia nera per un campetto da calcio. E qui in quello che crede essere il naturale spirito di un bambino inizia a palleggiare. La telecamera si allontana fino ad una veduta aerea: la lingua di terra è solo un ricordo… anche quello ormai non c’è più. Pure per noi: oggi il campo è svanito. Ci hanno costruito un parcheggio.

Mentre lascia Salina alla volta della successiva isola, vediamo Moretti di schiena appoggiato al parapetto: guarda la schiuma lasciata dalla nave. È il momento preferito dal protagonista: il viaggio, il desiderio di trovare un altrove. Nessuna inquadratura di Salina appena abbandonata, nessun quadro a restituirci un paesaggio che non sia l’acqua e il mare.

Deciso a saltare Panarea, ecco la volta di Stromboli. Qui un campo lunghissimo che cattura Strombolicchio ci mostra la spiaggia cangiante di luce e ombra per le nubi sovrastanti a espressione dei rovesci che interessano i due protagonisti. Appena arrivati sull’isola infatti iniziano a discutere, ovviamente per l’influsso del vulcano. Vulcano che finalmente raggiungono, dopo le deliranti e megalomani chiacchiere del sindaco, e che la macchina da presa ci restituisce nel suo splendore: l’intero versante prima, con la sua vegetazione e i suoi colori, i camini fumanti poi. La maestosità fisica sembra crescere sempre più, sottolineata dalle parole di Gerardo: “C’è qualcosa di ipnotico che…” Ma l’incanto è spezzato: dopo trenta anni lontano dal tubo catodico Gerardo è stato inguaribilmente risucchiato dalle soap opera, e deve, deve sapere se Sally Spectra ha detto di aspettare un figlio a suo marito. Vulcano in mezzo al mare saluta desolato i due compagni di ventura ancora una volta in partenza, come un’occasione mancata. Nudo e possente galleggia sulle acque, orfano di un farneticante e irrealizzabile – e per fortuna! – sogno di musica e fotografia firmato Morricone – Storaro.

Di Panarea, ripresa in considerazione come last minute, assaggiamo solo il porto: un salotto a cielo aperto dove si consumano aperitivi a tutte le ore. L’organizzatrice di eventi è temibile a livelli insostenibili, con la sua festa dedicata al “cattivo gusto” – ma chi è che vuol vedere Helmut Berger in mutande?! La fuga immediata è inevitabile. E proprio qui si fa esplicito il significato di questo viaggiare per il protagonista:

Caro diario, sono felice solo in mare, nel tragitto tra un’isola che ho appena lasciato e un’altra che devo ancora raggiungere

Il navigare a vista e lo spasmo dell’autore che in quella tensione desidera una meta ancora da scoprire. A braccetto con un’insoddisfazione che non riesce a tacere.

Ed eccoci ad Alicudi nel totale isolamento dalla civiltà. Finalmente il sollievo. O no? Le inquadrature ci mostrano sentieri e muretti in pietra tra i ripidi pendii dell’isola, percorribili solo a piedi o con dei muli, le finestre non hanno persiane, al mattino come ci si ripara da una luce troppo invadente? Qui manca l’elettricità, di conseguenza la televisione. Gerardo è spacciato e per salvarsi non si risparmia un’azzardata fuga a rotta di collo su quegli stessi sentieri faticosamente scalati per trovare la pace. Mentre prende al volo la nave che lo restituirà alla trappola mediatica della tv, maledice Hans Magnus Enzensberger e Karl Popper, un calcio a trent’anni di vissuto.

Nessuno prima di Moretti ha raccontato le Eolie così. Gli elementi del paesaggio hanno una diversa vitalità, molto lontana dall’idea stereotipata, magica e seducente. Dalla caotica Lipari alla misantropa Alicudi, queste isole sono un teatro al limite dell’assurdo ma che di realtà si nutrono, abbracciandole e portandole all’eccesso o respingendole. Qual è dunque l’isola dove sentirsi bene? Nessuna. La ricerca di un posto incontaminato è fallace, la fuga dal caos impossibile soprattutto quando è dentro di noi. E per scrivere un film, e anche la nostra vita, è il viaggio tra un’isola e l’altra a fare spesso la differenza.

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