La Nariz del Diablo, in treno sulle Ande ecuadoriane da Alausì a Ingapirca

Come avrete notato negli articoli precedenti, In Ecuador ci si sposta solo con mezzi di trasporto su gomma. Le ripide Ande, che tagliano in due il paese e l’economia non certo florida, hanno reso difficile l’espansione del sistema ferroviario. In quanto viaggiatrice, amante del treno, ne ho avvertito fin da subito l’assenza, io, italiana, abituata a trovare una stazione anche nei paesi più piccoli e sperduti.

Tuttavia alla fine del XIX secolo, i coloni, con l’aiuto di ingegneri tedeschi ed americani, investirono nella costruzione di un sistema ferroviario per il trasporto delle merci, per collegare il grande porto commerciale di Guayaquil alla capitale. Una decina di anni fa il Governo ha investito nella ristrutturazione e messa in sicurezza delle infrastrutture, trasformandole in un’attrazione turistica di tutto rispetto, perché i paesaggi che solcano e attraversano sono di una bellezza strabiliante. La sfida più ardita per l’ingegneria dell’epoca, riguardò i tratti di attraversamento sulle Ande. La Nariz del Diablo è l’esempio migliore: un’opera titanica, frutto della più progressista ingegneria tedesca, che ispirò anche Gustave Eiffel.

La Nariz del Diablo parte da Alausì, piccolo paese della Ande centrali che si raggiunge partendo da Riobamba. Dal terminal degli autobus partono bus in direzione di Alausì (della compagnia omonima) ogni 30 minuti, e il viaggio dura circa due ore e mezza. Il treno effettua tre corse giornaliere, alle 8:00, alle 11.00 e alle 15.00. Vi consiglio quelle del mattino e per questo conviene passare la notte ad Alausì. Lungo la strada per raggiungere questo piccolo centro abitato si può godere di un bellissimo panorama, la luce accarezza le ripide terre andine, lavorate da mani di donne in gonna e cappello nero, che nel periodo tra maggio e giugno si colorano di rosso, per le spighe di quinoa che aggiungono la maturazione.

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Ad Alausì, l’aria profuma di caminetto, soprattutto all’imbrunire, quando le temperature scendono considerevolmente e ci si scalda con crepitanti caminetti. Ci sono pochi ma accoglienti locali dove bere qualcosa di caldo e taverne dove cenare con ricchi piatti tipici a base di carne di agnello, di trota o di tilapia (un pesce d’acqua dolce molto diffuso) o succulenti panini. Sulla via principale, Avenida 5 de Junio, ci sono i pochi alberghi del paese, tutti confortevoli e accoglienti, con prezzi un po’ più alti rispetto allo standard dell’Ecuador (circa 25/30$ a persona), perché la domanda è alta mentre l’offerta scarseggia. Vi consiglio l’Hostal Gampala, comodissimo per raggiungere la stazione, con interni nuovi e confortevoli e piumoni caldissimi.

Ad Alausì c’è poco da fare, è proprio luogo di passaggio e di breve sosta, ma le vie del centro sono graziose, le insegne dei negozi hanno una grafica che sa di passato e la passeggiata che porta fino a San Pedro, merita una mezzora del vostro tempo, per ammirare da vicino questa statua che da lontano appare kitsch e sproporzionata nelle dimensioni, ma che vi stupirà per i colori dei mosaici e per l’espressione simpatica, oltre che per la posizione panoramica.

Dei tre treni giornalieri, consiglio quello delle 8:00, quando la luce è ancora morbida e delicata. La tratta collega Alausì a Sibambe (la linea ferroviaria è di circa 12 km e si viaggia a 25 km/h) dopo una sosta di circa un’ora si ritorna lungo lo stesso percorso, per un totale di circa due ore di escursione, per un costo di 30 dollari a persona. Conviene sempre verificare giorni, orari e disponibilità sul sito trenecuador.com/excursiones ed è necessario prenotare con qualche giorno di anticipo. Il treno è composto da tre carrozze, consiglio di scegliere i posti nella prima o nell’ultima, per assistere da vicino ai cambi di direzione dei macchinisti, e possibilmente quelli con doppia seduta per godere meglio del panorama. Il viaggio è accompagnato da una guida che in inglese e in spagnolo vi illustrerà storia, curiosità e scorci panoramici.

I binari, costruiti alla fine del 1800, corrono arditamente sui fianchi della montagna, sfidando la forza di gravità e regalando viste uniche delle Ande ed emozioni mozzafiato. Il nome “la Nariz del Diablo” deriva dalla forma della montagna su cui si snoda che sembra davvero un naso (nariz), il fatto che appartenga al Diavolo (diablo) deriva da credenze popolari dovute alla morte di molti lavoratori impegnati nella costruzione, ai rumori provenienti dalla montagna (dovuti alle esplosioni) e alla conseguente sparizione dei condor che, disturbati, hanno abbandonato la cima.

Treno Ecuador Ande Nariz del Dablo
Foto di Chiara Sonzogni

Il treno è frequentato soprattutto da stranieri, quindi ammetto che si respiri un’aria un po’ finta, tipica delle escursioni di gruppo, controllate e pianificate in ogni dettaglio. Infatti alla stazione di Sibambe verrete accolti da gruppi di indigeni che vivono sull’altro fianco della montagna e che raggiungono a piedi la stazione, giornalmente, per guadagnare qualche dollaro con balli, musiche tradizionali, e passeggiate in sella ad un cavallo e ad un lama, inoltre c’è una bella caffetteria con arredi d’epoca, un bar con una bella vista panoramica e un piccolo museo che raccoglie le informazioni sulla costruzione della tratta.

Se non siete amanti di queste attrazioni per turisti vi consiglio di approfittare della sosta per fare due passi lungo la strada che fiancheggia i binari, proseguendo leggermente oltre la stazione. Da lì, girandovi, potrete vedere per bene la nariz e godere di un po’ di tranquillità per immaginarvi il brulichio delle centinaia di uomini che un secolo e mezzo fa lavoravano senza sosta, per incastonare i binari tra le rocce di granito.

I binari sembrano le linee di matita del pittore, disegnano il paesaggio, sottolineandone la bellezza. Dal finestrino vedrete sfilare da molto vicino un paesaggio davvero unico, con i suoi colori nelle sfumature della terra, dell’ocra e dei verdi salvia, il fiume sottostante, verde per la presenza di solfiti, che sembra un serpente, che si insinua in queste valli, aride, secche e molto ventose. Godetevi questo salto nel tempo, il treno e i suoi rumori, la sua meccanica e i suoi odori, qualunque sia la vostra passione non potrete non restare affascinati da questo mondo.

Al ritorno dall’escursione, se fosse giovedì, le strade di Alausì saranno molto animate, è giorno di mercato e gli abitanti dei piccoli villaggi andini scendono in città per vendere tessuti, cereali e patate. Le vie si colorano di fucsia degli scialli delle donne, del blu delle gonne, dei rossi dei pochos degli uomini.

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Fate una sosta e poi via, si riparte in direzione di Ingapirca, il sito archeologico più grande e meglio conservato dell’Ecuador, raggiungibile in circa due ore e mezza di viaggio. Il parco chiude alle 17:00 e l’ultima visita consentita (obbligatoriamente guidata), è alle 16:00, quindi è necessario calcolare bene i tempi. Per raggiungere il sito da Aluasì ci vogliono circa 2 ore e si possono prendere gli autobus in direzione a Cuenca e scendere a El Tambo. Ci sono tre compagnie: la compagnia Aluasì (che fa poche corse), la compagnia Patria con corse più frequenti (meglio farsi portare in taxi all’ufficio dell’agenzia) e infine di fronte a questa stessa agenzia passano altre compagnie, con prezzi più economici, ma non ci sono informazioni precise, non resta quindi che sedersi sul marciapiede ad aspettare.

La strada, lunga ma panoramica, come sempre, si snoda sulle fiancate di una bella vallata, lavorata con piccoli appezzamenti, dai colori e superfici così diversi da farla assomigliare ad una coperta all’uncinetto.

Giunti a El Tambo potrete raggiungere Ingapirca in autobus (poco frequenti e mal indicati) o in taxi (il viaggio costa circa 8 $), non stupitevi se lungo la strada il taxista caricherà donne e bambini sul cassone aperto del pick-up, per soli 30 cent li aiuta a raggiungere l’alta quota, e non lamentatevi se il prezzo della vostra corsa resterà invariato, il trasporto nel cassone non ha nulla a che vedere con i turisti, nel bene e nel male.

Per gli occhi dei viaggiatori abituati ai siti archeologici greci e romani, questo sembrerà, di primo acchito, insignificante, ma la guida riuscirà a stupirvi e a farvi restare a bocca aperta davanti alla meraviglia del paesaggio e alle conoscenze profonde di questo popolo Inca, così lontano da noi eppure conoscitore profondo anche del mondo contemporaneo.

Ingapirca, Ecuador
Ingapirca, Ecuador – Foto di Chiara Sonzogni

Ingapirca, fondata nel 900 d.C dai Cañaris (un popolo primitivo boliviano), fu conquistata dagli Incas provenienti dal Perù nel 1460 d.C., e solo un centinaio di anni più tardi fu scoperta e conquistata dai coloni spagnoli. I resti di questo complesso urbano sono pietre vulcaniche, ricavate da una cava distante poco più di un 1 km, la cui forma e disposizione non sono per nulla casuali ma legate alla simbologia sacra e ai cicli del sole e della luna. Anche la canalizzazione delle acque, le aperture nei muri, i buchi nei massi sono riconducibili ai fenomeni naturali, all’inclinazione dei raggi solari, ai cicli lunari.

Ho lasciato Ingapirca affascinata, la sacralità e la simbologia Inca donano a questo luogo un’energia unica e instillano la curiosità su un popolo tanto lontano nel passato eppure così profondamente legato al futuro del mondo.

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