Il Cairo 2011: traffico e democrazia

Al Cairo tutti vanno da qualche parte. Si spostano a piedi, in macchina, in moto – spesso in 3, 4, perfino 5 – su carretti trainati da cavalli piccoli e magri, in bicicletta. Tutti trasportano qualche cosa, vendono o comprano qualche cosa. Ogni giorno questa città pensata e costruita per tre o quattro milioni di abitanti è consumata da più di venti milioni di persone e dalla loro frenetica attività.

Il traffico – siete sicuri di conoscere il vero significato di questa parola? – è incessante. Il rumore dei clacson non è un sottofondo più o meno sporadico ma è il respiro della città, la sua imponente colonna sonora. Eppure i cairoti non usano il clacson in modo arrogante o aggressivo. Anzi, è un suono che diventa quasi una musica che accompagna la spericolata danza dei pedoni che attraversano la strada, ovunque e comunque, con movimenti abili e felpati, quasi da toreri, incuranti delle vetture che li sfiorano mentre avanzano separate da pochi centimetri l’una dall’altra. Attraversare i flussi di traffico di Mesan Tahrir (Piazza Tahrir) è quasi un’esperienza mistica, un esercizio di destrezza circense per il quale sono necessarie doti di flessibilità, intuito, personalità e una buona dose di fede.

Piazza Tahrir, Il CairoI ragazzi di Mesan Tahrir, quelli della Rivoluzione del 25 Gennaio, sono ancora accampati sul marciapiede fra la piazza e il grande ponte sul Nilo. Hanno t-shirt e bandiere che inneggiano alla conquista della libertà non soltanto per l’Egitto ma anche per la Siria e la Libia. Parlano, ascoltano musica, organizzano karaoke. Forse si stanno chiedendo come saranno la democrazia e la libertà che hanno conquistato. Le elezioni si terranno a fine Novembre e gran parte dei cairoti non hanno molti dubbi su come finiranno. Una vittoria netta, forse addirittura schiacciante, dei Fratelli Musulmani, il movimento politico islamico che preconizza la legge coranica come base fondamentale per il diritto dello stato e che nel passato è stato perseguitato da tutti i presidenti dell’Egitto repubblicano da Nasser in poi. E tutti sembrano più o meno soddisfatti di questo probabile esito.

Dalla giovane guida turistica al taxista al professore universitario, tutti concordano che un certo grado di radicalizzazione religiosa non può che portare una nuova moralità nella gestione della cosa pubblica dopo decenni di corruzione e ladrocinio. Ma è davvero questo il prezzo da pagare? E’ per questo che si sono battuti i ragazzi di Tahrir? Curiosamente la voce più laica e ottimista è quella di Gamal, muezzin della moschea di Al-Hakim nel cuore islamico del Cairo. E’ lui che ha le speranze di libertà più ambiziose per la democrazia egiziana – la religione deve diventare un fenomeno personale – sostiene – e comunque i ragazzi che hanno lottato sono in gamba e non si faranno scippare la rivoluzione. Gamal, a fine novembre penserò alle tue parole e spero che tu abbia avuto ragione.

Il CairoNon c’è nulla di più bello e rigenerante nel caos cairota, nella polvere, nel rumore, nel caldo opprimente che rifugiarsi in una moschea. I rumori svaniscono, i piedi rinascono al contatto prima rinfrescante col marmo e poi soffice con i tappeti. Fresco, luce e silenzio. Non amo le religioni e neppure le chiese – e chi mi conosce sa che questo è un eufemismo – ma quanto mi è piaciuto entrare nella grande moschea di Al-Azahar e vedere la gente seduta sui morbidi tappeti, appoggiata alle colonne o addirittura sdraiata a dormire.

Il Cairo è una città iper-caotica, sovrappopolata, impolverata, rumorosa. In certe sue parti è squallida e crudele. La vita è dura per tutti. Ma è anche giovane, dinamica, piena di contraddizioni, colta e affascinante. La sua gente è diversissima ma ha in comune un senso dell’ospitalità e di rispetto che raramente ho potuto sperimentare altrove. E poi la sera, quando la cappa di luce gialla e opaca per l’inquinamento e la sabbia del deserto si dissolve e lascia spazio ad un crepuscolo sorprendentemente limpido, basta affacciarsi da un tetto del quartiere islamico o da un terrazzo di Zamalek con vista sui mille minareti o sul Nilo per non sentire più la stanchezza della giornata ed aver voglia di lasciarsi nuovamente trasportare dalla impetuosa corrente vitale di Oum-al-Dounia (la madre del mondo).

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