1. IL MERCATO DI SARAJEVO
La visita di ogni città dovrebbe iniziare dal mercato alimentare. A maggior ragione quella di Sarajevo. Il mercato di Markale infatti, oltre ad essere il luogo privilegiato per la spesa degli abitanti di Sarajevo (e con i suoi prodotti uno splendido e colorato baluardo contro l’omologazione), ha giocato – suo malgrado – un ruolo fondamentale nella vita e nel destino della Sarajevo moderna.
Ben due volte, nel febbraio 1994 e nel giugno 1995, i mortai dell’artiglieria cetnica comandata dal generale Ratko Mladic infierirono sul mercato uccidendo 68 persone e ferendone 140. Queste stragi convinsero definitivamente l’amministrazione Clinton ad intervenire nel conflitto e pochi mesi dopo il secondo attacco le controparti sedevano assieme al tavolo delle trattative che avrebbero portato agli accordi di pace di Dayton ponendo fine ad un assedio lungo mille giorni.
Markale è un mercato relativamente piccolo in cui chi vende è anche il produttore ed il trasportatore della merce. Chilometro zero per antonomasia. E’ davvero difficile fare una gerarchia fra prodotti superbi, frutta e verdura colorata e freschissima ma il posto d’onore va riservato probabilmente ai frutti di bosco raccolti – si, raccolti non prodotti – nei boschi sui monti che circondano Sarajevo.
Lamponi, more, mirtilli hanno un colore scuro e sono spesso più piccoli ed irregolari rispetto a quelli a cui siamo infelicemente abituati. Non si acquistano in confezioni o cestini di plastica ma vengono messi al momento in sacchetti di carta con un grosso cucchiaio di metallo. Sporcano molto le mani, la bocca e i vestiti, hanno succo, profumo e molto sapore.

Eccelsa anche la frutta che arriva dall’Erzegovina, dalle fertili terre lungo la Neretva (non credo di aver mai visto un fiume bello come la Neretva) e dalla piana di Mostar. Le prugne, buonissime e che poi regaleranno la grappa sljivovica, i fichi, i meloni, le pesche. I pomodori sono rossi e deformi, carnosi, compatti, i peperoni di ogni grandezza e colore dal giallo e verde chiaro quasi bianco al profondo rosso. I cetrioli hanno un sapore che ne giustifica l’esistenza. Le melanzane sono un motivo di orgoglio ed uno spettacolo che da solo vale il biglietto. I formaggi meriterebbero un capitolo a parte, dal prezioso kajmak allo skripavac, giallo solare, dall’incredibile formaggio a sacco che stagiona in una pelle di pecora essiccata al livanjski sir che deve la sua origine ad un casaro francese stabilitosi in Erzegovina alla fine dell’800.
2. I PROFUMI DI SARAJEVO
I profumi di Sarajevo inebriano. Quello del pane e del burek (sfoglie ripiene di formaggio, carne o verdure) che vengono impastati, infornati e sfornati più volte al giorno. Quello onnipresente della carne e dei cevapi (piccole salsicce di manzo e agnello) alla brace, cotte spesso in strada su fuoco di legna e carbone. Quello del forte caffè bosniaco, un vero rito di fratellanza ed ospitalità. Alla sera il vento porta l’odore della foresta dal Monte Igman – sede delle Olimpiadi invernali del 1984 – e spesso quello del temporale imminente. Infine i profumi leggeri di rosa e gelsomino delle ragazze che affollano le strade della splendida Sarajevo notturna.
3. C’ERA UNA VOLTA LA JUGOSLAVIA
Sarajevo è ottomana e asburgica, europea, balcanica e ancora – per fortuna – profondamente jugoslava. E’ una città che cura e ricorda le proprie ferite. Sarajevo è soprattutto una città giovane che ha voglia di crescere e vivere, di cambiare senza rinnegare la propria storia e diversità. Quella fiera diversità, quella tollerante interculturalità che l’ha portata alla tragedia.
4. SARAJEVO E IL CALCIO
Lo stadio di Grbavica, la casa dei “ferrovieri” del Zeljeznicar ha visto tempi migliori. Stessa cosa può dirsi per il mitico Zeljo, la squadra multietnica per eccellenza che negli anni ’70 e ’80 era una delle compagini di punta del bellissimo campionato jugoslavo e frequentava assiduamente le competizioni europee – semifinalista della Coppa Uefa 1984/85 – ai tempi in cui una trasferta in Bosnia (o in Erzegovina a casa del Velez Mostar) incuteva grande rispetto. La bellezza di un calcio delle diversità che non proponeva Real Madrid-Manchester Utd sedici volte a stagione.
Nel 2014, per la sfida contro i campioni in carica del Zrinjski Mostar ci sono pochi spettatori ed una cornice spettacolare di tuoni e fulmini. L’eredità jugoslava si vede nella buona tecnica individuale dei giocatori in campo e nella loro propensione al virtuosismo. I ritmi sono bassi ed alla fine la miglior organizzazione dei campioni in carica riesce a fare la differenza. Il Zeljo perde a Grbavica 0-2.
5. SARAJEVO E IL CINEMA
Il festival del cinema di Sarajevo è diverso da tutti gli altri. L’atmosfera è gioiosa, da festa familiare. Le star presenti – quest’anno Gael Garcia Bernal – non sono protette da cordoni di guardie del corpo ma sono accessibili e disponibili; i controlli alle feste ed ai cocktail sono rilassati e flessibili; la popolazione della città partecipa con trasporto e il programma è spesso originale e visionario. L’anima e la diversità derivano dalle sue origini, dalla sua ragione di esistere.
La prima edizione del Festival si tenne nell’ottobre del 1995 quando l’assedio non era ancora stato tolto del tutto. Rappresentava allora la mai spenta voglia di vita e di cultura dei cittadini di Sarajevo ed ha continuato a crescere insieme alla città, accompagnandone la ricostruzione fisica e morale e diventando oggi la rassegna più importante dell’Europa sud-orientale.
Alcuni pazzi visionari organizzarono addirittura un primo embrione di Festival nel 1993, durante i momenti più tragici della guerra. E quando i pochi giornalisti presenti chiesero al direttore Haris Pasovic:”perché un festival durante una guerra?”. Lui rispose serafico incarnando lo spirito eterno di Sarajevo:
“perché una guerra durante un festival?”
Dove dormire: Hotel Halvat.
Come arrivare: trova un volo per Sarajevo.