Scenografici picchi calcarei, fitti boschi di pini, gole scavate nella roccia, cascate, templi ed eremi, caratterizzano il paesaggio custodito dal Juwangsan National Park. Si tratta di uno dei parchi più piccoli e isolati della Sud Corea, un luogo di leggende e suggestioni. Al centro del parco, che si suddivide in tre aree (Jubanggol all’ingresso, Jeolgocheon a est e Yaksutang a ovest), si trova il lago Jusanji (Jusanji Pond) sconosciuto al turismo (ma non ai locali) fino a una decina di anni fa quando il controverso regista Kim Ki-duk ne fece il set di uno dei suoi capolavori: Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera.
Il film ritrae un monaco buddista e il suo piccolo discepolo che abitano un tempietto galleggiante nel cuore del lago. Il susseguirsi delle stagioni, con il mutare dei colori e la trasformazione dell’ambiente circostante, va di pari passo al mutare delle stagioni umane. Il bambino cresce in sintonia con l’ambiente, impara dal monaco a dare un peso alle proprie azioni; si fa grande, scopre quanto il desiderio possa essere travolgente, decide di inseguirlo; ritorna sconfitto dai suoi stessi sentimenti, e di nuovo impara ad accettare il peso dell’espiazione e ad assumere la responsabilità delle proprie azioni; e così la ruota della vita ricomincia il suo ciclo, sempre identico, sempre diverso.
Kim Ki-duk affronta ancora una volta temi esistenziali, indaga la condizione umana in un film magistralmente diretto che rappresenta una svolta nel suo percorso artistico. Come suo solito tenta di mettere a nudo l’essere umano, di ritrarlo nella sua imperfezione, nelle sue contraddizioni, nel suo disperato bisogno d’amore e di senso. Ma qui per la prima volta, nel moto ciclico della vita, in questo spazio indefinito e sacro, intravediamo un ordine, una ragione in cui l’uomo trova il suo spazio.
Il lago Jusanji nel film di Kim Ki-duk è un “luogo dell’anima”. Una sorta di palcoscenico dove la vicenda umana si dipana. Se fa del movimento la sua essenza, trova nella ciclicità la sua sospensione. Le architetture in legno, il tempietto e le porte galleggianti, sono un’installazione ad hoc per il film perciò non aspettatevi di trovarle, ma questo laghetto artificiale creato nei primi del ‘700 per fini agricoli, resta comunque un luogo da affascinante. La fitta foresta che lo circonda e la trentina di salici vecchi oltre 150 anni che affondano le radici nelle sue acque, creano un effetto suggestivo unico nel suo genere.

Informazioni utili per visitare il lago Jusanji e i dintorni
Prenotate il volo con netto anticipo per Seoul (voli a partire da 388 € su Skyscanner.it), da qui potrete raggiungere in 4 ore di autobus il Juwangsan National Park o la vicina cittadina di Cheongsong (partono 6 bus giornalieri dal Dong Seoul Terminal).
Anche se i più fanno escursioni in giornata, noi consigliamo di rimanere un paio di giorni a Cheongsong perché è una cittadina ancora poco battuta dal turismo che ha saputo conservare le antiche tradizioni e si è aggiudicata, per lo stile di vita, l’appellativo di Slow City. Cheongsong dista mezzora di bus dal parco e ne partono ogni 20 minuti. Le escursioni sono numerose, tutte abbastanza semplici e da fare in giornata, visitate questo sito per un elenco completo. Se invece volete raggiungere direttamente il lago potete prendere il bus che porta a Ijeon-ni e da qui il percorso a piedi di circa 1 km. Il momento migliore per visitare Jusanji Pond è appena prima dell’alba, in questo caso dovrete organizzarvi con un taxi.
Per dormire potete optare per una delle tante soluzioni locali e non è necessario prenotare, solo essere muniti di pocket dictionary inglese/coreano (non aspettatevi di trovare molte persone che se la cavano con l’inglese). La Songjeong House, collocata nel villaggio Deokcheon, è un’antica casa patrimonio locale che offre 6 stanze, la Juwangsan Seongcheondaek House è un’altra soluzione ricca di atmosfera con 3 stanza da massimo 4 persone l’una.