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Confine tra Vietnam e Laos, dove il viaggio è pura avventura

Vivendo in un’epoca dove tutto è organizzato nei minimi dettagli e alcuni viaggi paiono più delle tabelle di lavoro, affidarsi a volte all’imprevisto è difficile. Ma l’imprevisto è quello che rende il viaggio poesia e novità e ci porta a confrontarci davvero con noi stessi.

Quella che stiamo per raccontare è un’esperienza che contempla quel grande libro di viaggio della casualità e dell’imprevisto. Vivendo in un’epoca dove tutto è organizzato nei minimi dettagli e alcuni viaggi paiono più delle tabelle di lavoro, affidarsi a volte all’imprevisto è difficile, mette in gioco le nostre paure e la fatica di affrontare orizzonti nuovi e inesplorati. L’imprevisto è quello che rende il viaggio poesia e novità e ci porta a confrontarci davvero con noi stessi. Quello che andremo a raccontare è una pagina di questo fantastico libro.

Riprendiamo da dove ci siamo lasciati l’ultima volta: Dien Bien Phu, prendiamo un taxi direzione confine, checkpoint Tay Trang. In mezz’ora arriviamo al primo stop: passaggio per uscire dal Vietnam, controllo passaporti e soprattutto tentativo di dialogo con i militari vietnamiti. La questione principalmente ruota attorno al come arrivare alla dogana laotiana, che detta così fa ballo di gruppo invece è un problema annoso. Difatti tra l’uscita dal Vietnam e l’entrata in Laos c’è una terra di mezzo piuttosto lunga e impervia, farla a piedi richiederebbe un’ora/un’ora e mezza e con gli zaini pesanti non è proprio il modo migliore di iniziare la traversata.

Alla fine di una lunga contrattazione fatta di gesti e suoni sconosciuti riusciamo a farci dare dai militari un passaggio: per qualche euro a testa verremo accompagnati in moto ognuno da un componente della guardia. Se non ché quando raggiungiamo un accordo passa un camioncino, saltiamo sù e via. Per inciso, i soldi ai militari li dobbiamo comunque visto il passaggio procurato.

In breve arriviamo al check point laotiano, un vero e proprio casettino nel nulla in mezzo alla foresta tropicale con controlli pari a zero. Abbiamo bisogno del timbro altrimenti non usciremo mai, attendiamo con pazienza l’arrivo dell’addetto, paghiamo per il visto una quota vicina a 50 euro e riscontriamo la prevista totale mancanza di trasporti.

Al confine tra Vietnam e Laos

Dopo qualche ora passata a fare l’autostop al confine ci arrendiamo all’idea che passi un mezzo a motore in grado di ospitarci. E’ già pomeriggio inoltrato, la situazione non è ideale quindi partiamo a piedi verso… non sappiamo dove. Il sentiero è uno solo, il primo paese con una struttura di accoglienza è a 20 km. Siamo nella provincia di Phongsaly. Camminiamo, in questo paesaggio che mi rievoca Lost, la serie: foglie di una misura mai vista, vegetazione imponente e tropicale, alberi e piante giganteschi. Dopo qualche ora la fatica inizia a farsi sentire, come non bastasse ha iniziato anche a piovere. Ci guardiamo, stiamo pensando tutti alla stessa cosa ovvero “Come passeremo la notte? Dormiremo all’aperto sotto la pioggia in mezzo a questa foresta? Camminiamo finché non siamo allo stremo?”

Il sole sta tramontando, la schiena duole, la testa è in questo mondo un po’ surreale nel quale stanchezza e preoccupazione si mischiano a uno stranimento pazzesco: siamo pur sempre tra le montagne del nord del Laos camminando fuori dal tempo. Gli unici incontri che facciamo sono con alcune capannine lungo la via e tanti piccoli maiali che pascolano. Alla prima capannina incontrata abbiamo provato a contrattare un passaggio, ma la comprensione è molto difficile e risultato pari a zero, la signora chiedeva una cifra altissima: siamo in mezzo al nulla ma verrebbe da dire “da che mondo è mondo…”

Quando inizi a disperare e il disagio raggiunge livelli notevoli, accade quello che non ti aspetti (più): un tizio in motorino che viene in direzione contraria, alle prime lo fermiamo mettendoci in mezzo alla strada, il suo volto prende forme decisamente preoccupate ma i grossi zaini dicono che non siamo guerriglieri, più probabile ragazzi in viaggio. Preso da un moto di grande disponibilità il nostro fratello laotiano si offre di portare uno di noi in motorino ad un villaggetto a qualche km, dove forse potremo incontrare qualcuno che faccia il restante percorso in cambio di una cifra che poi vedremo.

Muang Khua

Così il motorino parte, le nostre speranze di non rimanere al buio nella foresta crescono. Continuiamo a camminare, dopo una mezz’ora vediamo il tizio tornare da solo. Così fa la spola per ognuno di noi e ci porta a questo piccolo paesino fatto di capanne lungo il fiume. Arrivare lì è un’esperienza fantastica: ad attenderci decine di bambini divertiti e in festa, chissà se hanno mai visto un viso pallido o quanto gli capita. Ci sediamo dunque stremati ma circondati da questa comunità in festa, in attesa che arrivi quello che a tutti gli effetti pare il capovillaggio. Piuttosto giovane, riusciamo a comunicare a lui i nostri desideri e le nostre intenzioni. In verità ci andrebbe bene anche un capannino lì per la notte, ma lui ci fa la proposta che non possiamo rifiutare: per una cifra che è intorno ai 30 euro a testa, ognuno sarà accompgnato in motorino a Sop Hun, che dista più di 10 km. Ormai è buio, bisogna fare in fretta.

Salutiamo la comunità, splendida visione arcaica in un mondo solo immaginato, e partiamo… Ci aspetta un’ora da film. Le strade sono fangose, è buio, e i mezzi sono dei Garelli in salsa laotiana. Attaccato al conducente, ogni tot metri o slittiamo o ci fermiamo o scivoliamo in mezzo al fango, nelle parti più scorrevoli fendiamo centinaia di insetti nella notte. Nei pezzi più difficili invece tocca andare a piedi con motorino a mano. Mentre scaliamo un km dopo l’altro, l’adrenalina è a mille e si mischia con il sollievo di aver scampato una notte davvero inquieta nella foresta e con l’emozione di quello che sta accadendo. Tutto così inatteso, tutto così meravigliosamente fuori da ogni senso.

Mi godo profondamente questa ora in un’altra realtà, mentre penso ai compagni di viaggio che arrancano anch’essi nel fango. Arriviamo a Sop Hun, per oggi è fatta. Prendiamo una stanza nell’unico hotel del paesino, facciamo una doccia che già sembra un piccolo grande miracolo. Usciamo, non tocchiamo cibo da 24 ore, c’è un solo posticino che assomiglia a un ristorante dove ci servono straordinariamente zuppa e patate. Ci addormentiamo stravolti nella notte laotiana, l’indomani sarà un altro giorno pieno di incognite: oggi, non lo dimenticheremo.

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