Una villa del ‘700, una passione per l’arte lunga tutta una vita, il Fondo Ambiente Italiano: il risultato è la Villa e Collezione Panza di Biumo, a Varese.
Per chi si interessa di arte contemporanea, la Villa oggi è forse uno dei luoghi italiani più cari: il nome di Giuseppe Panza di Biumo, del resto, è quasi considerato come quello di un padre del collezionismo italiano.
Dal 1955 al 2010 ha raccolto opere di arte informale, di espressionismo, pop art, minimalismo, arte concettuale, organica, monocroma – più di duemilacinquecento lavori, un patrimonio talmente vasto che, attorno agli anni ’70, lo stesso Panza si pone il problema della sua conservazione: dove metterlo, fisicamente? Quale museo è abbastanza grande per permettere a tutti gli appassionati di godere della bellezza dell’arte?
Nessuno: la mole di opere è ingente e non resta che suddividerla in più donazioni. Centocinquanta opere, ad esempio, vanno al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, altre duecento vanno al Guggenheim di New York, altre duecento, tutte di arte organica e monocromatica, vanno al Museo d’Arte Cantonale di Lugano – una diaspora vissuta dallo stesso Panza senza amarezze, anzi: con la vera e propria gioia di condividere la passione con tanti altri amanti della bellezza, di diversi paesi, diverse generazioni.
Vale la pena recuperare il suo libro di memorie e usarlo come guida attraverso la visita alla Villa: donata al FAI nel 1996, ristrutturata e recuperata con cura eccellente, oggi conserva nei suoi ambienti un centinaio di opere della collezione.
Solo un centinaio di opere, ma con la particolarità di essere site-specific: ovvero pensate appositamente dagli artisti per dialogare con quegli ambienti, in quella posizione, con quei giochi di luce durante il giorno, interagendo con i muri e l’arredamento di tutt’altra epoca, di tutt’altro mondo.
Lì le hanno volute gli artisti, lì le ha volute Panza – che dei nomi storici della contemporary art è stato prima scopritore e poi amico.
Dan Flavin, ad esempio, lo potete immaginare mentre passeggia con l’amico collezionista attraverso gli antichi corridoi della villa e sogna di ricreare quegli spazi con i risultati della sua ricerca tutta minimalista sull’uso psicagogico della luce al neon (all’epoca una novità all’avanguardia) – lo immaginate ed ecco aprirsi sotto i vostri occhi la realizzazione di quel sogno, in una Collezione Permanente: le stanze progettate dal razionalissimo neoclassico Luigi Canonica nel 1830, ora diventano per voi un luogo mistico in cui la percezione dello spazio circostante si fa più confusa, quasi allucinata, tra colori decisi e ombre destabilizzanti.
O James Turrell, il quacchero visionario padre/guru della Land Art: se oggi può continuare il suo principale progetto di trasformare un cratere (spento) in Arizona, il Roden Crater, in una grandissima installazione ambientale (la più grande al mondo, si dice), lo deve all’amico conte Panza che a partire dal 1974 finanziò generosamente le sue ricerche considerate da molti, all’epoca, più che altro vaneggiamenti – anche perché, per farsi un’idea di come sarebbe riuscito il lavoro nel cratere, di come si potesse ad esempio far interagire la luce solare proveniente dall’alto, un ambiente bianco e luci fluorescenti alterando la percezione ottica e creando un’illusoria profondità, be’, Turrell propose al conte di sfondare il soffitto di una stanza del ‘700. Il Conte accettò e oggi possiamo ammirare l’opera Sky Space.
Oppure ancora, Lawrence Weiner, il concettuale scultore di parole: con il Conte aveva immaginato di portare le sue opere negli spazi dell’antica limonaia della villa e lo stesso Panza aveva scritto di proprio pugno come e dove realizzare l’allestimento. Non ci riuscì in vita, l’ha fatto il FAI per lui: temporaneamente, in un progetto pluriennale dedicato ai singoli artisti della collezione, “Esplorazioni”, tutti hanno potuto vedere le enigmatiche parole del poeta-scultore giganteggiare sulle pareti vetuste, precisamente là dove artista e magnate le avevano pensate.
Quando poi sarete sazi di riflessioni estetiche contemporanee, vi concederete un’oziosa passeggiata nel parco: ci sono opere anche lì, beninteso, ed è tutto un altro capitolo di storia dell’arte contemporanea; ma potete benissimo contemplare la bellezza del paesaggio – così, respirandola, diremmo.
È da tre secoli, d’altronde, che qui si venera la bellezza, ogni generazione con la propria sensibilità: dai primi proprietari, i marchesi Menafoglio che costruirono la prima Villa di Delizie per i loro ospiti, ai Duchi Litta Visconti Arese, fino al romantico Conte Panza che in un passaggio delle sue memorie ci offre una riflessione che sembra fatta apposta per dare il senso del nostro girovagare tra musei e collezioni:
La bellezza è una forza potente ma discreta, generosa con chi la cerca senza secondi fini (…) è la diretta espressione di un bene superiore a tutto, è immortale perché non è fatta di materia anche se usa la materia per manifestarsi. Non esiste uno strumento per misurarla, ma è dentro tutte le cose, dalle pietre alle stelle, dai fiori alla nostra mente. È il motore invisibile dell’universo. È il motore invisibile della vita.
Conte Panza