[alert type=”success” dismiss=”no”]In quest’articolo il racconto della prima tappa del trekking di Diana e Derek in Scozia lungo la West Highland Way con i loro due cani e la figlia Mia di 14 mesi.[/alert]
Ci svegliamo il sabato mattina al suono sordo di un palo della tenda che si spezza nel punto centrale, dopo la nostra prima notte di campeggio a Fort William, e con altre sei ancora da affrontare. Che cosa volete che vi dica. La nostra tenda è di un’ottima marca, è praticamente nuova ed estremamente tecnica. Non sono neanche sufficientemente avanti con l’età da poter utilizzare in maniera convincente la frase “non fanno più le cose come una volta”, perché sono nata negli anni ’80, quando consumismo, materiali sintetici e produzioni di massa già imperavano nel nostro amato Vecchio Continente.
Posso però dirvi che ci vuole ben più di un palo rotto per scoraggiare me e Derek: il problem solving è il nostro pane quotidiano e Derek è capace di aggiustare tutto, senza eccezioni. Dopo aver fatto un buon utilizzo del nostro kit di riparazione ed inserito sul punto spezzato un rinforzo di emergenza, ci prepariamo una frugale colazione a base di snack al cioccolato e caffè.
A proposito di caffè mi sono scordata di dirvi che, pur essendo i nostri zaini molto pesanti, io alla mattina non riesco a uscire dalla tenda se prima non ho bevuto una tazza di buon caffè caldo all’italiana. La caffettiera sempre appesa all’esterno dello zaino di Derek contribuisce senza dubbio al fardello totale, ma ha viaggiato con noi attraverso i continenti, ci ha accompagnati per mille avventure e non poteva di certo mancare questa volta. No Moca No Way il nostro motto percorrendo la West Highland Way!
Partiamo con calma a metà mattinata, percorrendo il tratto di strada asfaltata lungo la Glen Nevis, una classica valle glaciale a forma di U incorniciata da ripidi versanti ricoperti di ghiaia grigia. Sulla destra della strada, qualche centinaio di metri prima del Visitor Centre ai piedi del Ben Nevis (la montagna di cui vi ho parlato nell’articolo precedente) si staglia un grosso masso arrotondato dal diametro di circa due metri. E’ chiamato dai locali Wishing o Consuel Stone. La ragione per cui una semplice pietra possiede un nome tutto suo è che la sua presenza in mezzo alla verde valle, lontano da affioramenti rocciosi, ha sempre avuto un che di misterioso per le popolazioni locali.
Come gli altri giganteschi massi erratici distribuiti per il paesaggio scozzese, questa pietra è stata trasportata durante l’era glaciale ed è stata depositata a valle una volta che il ghiaccio si è sciolto, circa 10 mila anni fa. Fino al 1800, quando la prima teoria sulle glaciazioni è stata sviluppata proprio qui in Scozia dallo scienziato svizzero Louis Agassiz, il suo aspetto tondo, dovuto al lungo trasporto da parte di un gigantesco fiume di ghiaccio, e le sue dimensioni decisamente fuori scala, hanno alimentato per secoli la fantasia degli scozzesi, in cerca di una spiegazione plausibile a un fenomeno allora sconosciuto.
Ed ecco che la magia è entrata in campo: la leggenda locale più affascinante ci racconta che questa pietra ha il potere di dare consigli e che ogni tanto, durante l’anno, ruota su se stessa. Se avete la fortuna di capitarne in prossimità durante una di queste sue rivoluzioni riceverete risposta a tre domande a lei rivolte prima che si sia fermata. Di qui il nome “Pietra del Consiglio” (Consuel) o del “Desiderio” (Wishing). Oggi pioviggina e la pietra sfortunatamente si staglia quieta nel mattino fosco. Niente risposte per noi.
Dopo una breve sosta al Centro Visitatori, per usufruire del bagno pubblico fornito di fasciatoio (l’ultimo disponibile per l’intera settimana a venire), affrontiamo il primo tratto della camminata. Questa parte della via è estremamente facile per chi arriva da sud, dirigendosi in un monotono zig zag verso la valle ed il paese di Fort William. Per noi, invece, è l’inizio di una salita davvero impegnativa, che come primo giorno ci mette alla prova. Mia sulle spalle è ben felice di essere trasportata, ma la mia schiena richiede una sosta ogni 20 minuti. Lo stesso vale per Derek. Questa prima giornata di cammino si rivela la più dura di tutta la settimana, ma ci da la possibilità di rompere il fiato e trovare il nostro ritmo.
Dove inizia il sentiero, sulla destra, tra gli alberi di querce secolari, si intravedono delle piccole lapidi di pietra: è il vecchio cimitero del Clan Cameron, uno dei luoghi utilizzato per l’ambientazione di alcune scene del film Braveheart. I membri di questo clan sono fortemente legati alla storia della valle. La leggenda più famosa che li riguarda è quella del massacro del Dun Dige, un piccolo dosso fortificato nella Glen Nevis che si pensa in epoca medievale appartenesse a un ramo oggi estinto del Clan Cameron.
La storia racconta che qui si tenne un tempo un incontro tra il clan dei Cameron e quello dei Chattan. Al termine dell’incontro, organizzato con lo scopo di consolidare la pace tra le due famiglie, il capo dei Cameron ordinò al suo suonatore di cornamusa di fiducia di esibirsi per festeggiare il successo dell’incontro. Sfortunatamente, il musicista, per nulla entusiasta della diplomatica risoluzione della riunione, espresse il proprio disappunto suonando delle canzoni decisamente poco pacifiche. Furiosi e offesi, i membri del Clan Chattan scesero a valle giurando vendetta per l’offesa ricevuta. I membri del Clan Cameron si ritirarono per la notte, non pensando che la reazione del clan rivale arrivasse così velocemente; quest’ultimo, invece, si riunì su una collina vicina (successivamente chiamata la Collina del Diabolico Consiglio) e decretarono immediata vendetta, con l’intenzione di non risparmiare neppure un’anima. I Cameron furono massacrati la notte stessa, uno per uno. Un solo giovane riuscì a scappare e a portare in salvo l’infante figlio del capo. Quest’ultimo, allevato nel nord, ritornerà nella sua valle natia 17 anni più tardi per assumere il suo legittimo ruolo e dare nuovo inizio ala stirpe dei Cameron della Glen Nevis.
Lasciamo il cimitero alle nostre spalle e proseguiamo diligenti. Lungo il cammino, ogni dieci minuti incrociamo camminatori con mappe, bussole, nessun peso sulle spalle e un gran sorriso sul viso: non vedono l’ora di raggiungere una qualche locanda o b&b a Fort William, dichiarare chiusa la propria impresa e bersi qualche pinta di birra in un pub. Alcuni sono uomini in pensione, che hanno campeggiato lungo la strada con l’unica compagnia di un’amaca e un telo per proteggersi dalla pioggia. Incontriamo anche ragazzi polacchi, tedeschi, francesi, olandesi, australiani, canadesi, soli o in compagnia di qualche amico.
Tutti si fermano per fare una carezza a Zeno, il nostro bovaro, e molti mi chiedono se possono scattare un foto a me e Mia. Siamo una delle pochissime famiglie che hanno incontrato e Mia è l’unica bebè sulla West Highland Way. E’ solo l’inizio di un’interminabile serie di foto che perfetti sconosciuti ci hanno scattato come ricordo delle loro vacanze in Scozia. Ovviamente rispondo sempre di si perché trovo la cosa divertente: qualcuno, dall’altra parte del mondo, riguarderà queste foto tra qualche anno e mi diverte immaginarne i commenti.
Arrivati in cima alla salita, non così lunga come noi l’abbiamo percepita sotto il peso dei nostri zaini, un cartello invita a visitare il Dun Deardill, antico forte risalente all’Età del Ferro. Per ragioni ancora oscure agli archeologi, la pietra con cui è stato costruito migliaia di anni fa è stata sottoposta ad una temperatura così elevata che ne ha causato la vetrificazione. La cosa singolare è che non sembra che gli sia stato dato fuoco a seguito di un attacco, ma che gli antichi residenti abbiano causato un incendio controllato delle mura come dimostrazione di forza e potenza. La posizione sulla cima elevata della collina dona una bellissima vista sulla Glen Nevis. Il paesaggio di questo tratto velocemente cambia dalle radure alberate della Valle del Nevis, che appaiono nelle scene di innumerevoli film tra i quali Rob Roy e Braveheart, ai brulli pascoli delle quote più alte, abitati principalmente da pecore.
Le pecore hanno giocato un ruolo fondamentale nel modellamento del paesaggio delle Highlands scozzesi. Se infatti in epoca medievale venivano tenute dagli allevatori e agricoltori locali in piccoli numeri, insieme a mucche e capre, in un sistema di piccole fattorie a dimensione familiare, alla fine del 1700 l’aumentare del prezzo della lana e della richiesta della carne di agnello e montone, connesse all’esponenziale crescita delle popolazioni urbane, fecero si che gradualmente i ricchi proprietari terrieri trovassero economicamente più conveniente mettere le pecore a pascolare nelle loro tenute, piuttosto che continuare a ricevere magri introiti da parte dei piccoli e poveri affittuari locali.
Fu così che ebbe inizio il triste e poco conosciuto processo delle Highlands Clearances, attraverso il quale migliaia di abitanti delle terre alte scozzesi furono scacciati, il più delle volte in maniera coatta, dalle loro case e ridotti ad adattarsi ad una vita di stenti nelle periferie delle grandi città industriali, prima tra tutte Glasgow, o forzati ad emigrare verso altri continenti in cerca di fortuna o di una vita più dignitosa. Il fenomeno ha portato alla creazione di immensi pascoli e all’incremento del numero delle pecore in tutto il paese sino ad un punto tale da superare e tuttora eguagliare in eccesso il numero di persone presenti in territorio scozzese: stiamo parlando di circa 6 milioni di ovini!
La strada serpeggia lentamente attraversando fitte piantagioni rettangolari di giovani abeti americani o brulle radure lasciate da altre appena tagliate. Una nota relativamente a questo aspetto è che non dovete mai fidarvi, per orientarvi, dell’accuratezza con cui le mappe, per quanto recenti, vi segnalano la presenza di boschi lungo la via. La strategia forestale scozzese per il legno commerciale è infatti quella di piccole piantagioni di breve durata, che vengono letteralmente rase al suolo non appena gli alberi hanno raggiunto l’altezza desiderata. E’ molto facile per cui, da una stagione all’altra, attraversare un paesaggio dall’aspetto totalmente diverso da quello atteso. Ogni tanto, lungo il sentiero, un piccolo ponticello di legno attraversa un impetuoso torrente; altre volte, i corsi d’acqua invadono il sentiero ed occorre guadarli.
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Stanchi e sudati, ci fermiamo a campeggiare in una radura coperta da un soffice manto erboso, circondata da cespugli i cui rami si rivelano ricoperti da soffici ciuffi di lana, che Mia, dal suo punto di vista privilegiato, nota immediatamente. Mentre lei passa un’abbondante oretta gattonando tra un cespuglio e l’altro raccogliendo tutta la lana che riesce a trattenere nelle sue manine, noi raccogliamo la legna per il fuoco e cuciniamo un piatto di spaghetti al pomodoro e bacon. Qualche centinaio di metri più avanti vediamo la luce di un’altra tenda: non siamo gli unici campeggiatori in zona. La giornata è stata piuttosto nuvolosa, ma la serata è luminosa e asciutta.
La vista dalla nostra tenda è sul Lochan Lùnn Dà-Bhrà, un laghetto sul cui isolotto si pensa abbia risieduto in tempi antichi Macbeth, re degli Scozzesi in epoca medievale, reso celebre nei secoli a venire dal famoso capolavoro teatrale e letterario di William Shakespeare. Leggenda vuole che questo lago sia abitato da un bue d’acqua che occasionalmente emerge dal lago e cattura gli animali al pascolo. Queste bestie mitologiche, molto diffuse nel folklore locale, secondo tradizione sono timide e inoffensive, vivono una vita solitaria e escono solo di notte dai loro bui rifugi acquatici. Chi afferma di averne osservato uno li descrive neri, sorprendentemente piccoli e dall’aspetto peloso e vellutato!
La notte passa serena e nessuna attività misteriosa disturba la nostra carovana. Il sole sorge sul lago il giorno seguente e ci accompagna per tutta la mattinata. Sappiamo però che le previsioni del tempo cambieranno presto e non in maniera incoraggiante: i prossimi due giorni ci daranno del filo da torcere. Ci prepariamo alla partenza di buonora, ma non prima di esserci preparati un’energetica colazione scozzese a base di black pudding (una fetta spessa di una sorta di sanguinaccio di colore nero, a base di cereali e frattaglie, che si mangia caldo e croccante dopo averlo saltato in padella), salsiccia, uovo al tegamino e tatties scones (gustosissime sottili frittelle triangolari di patate cotte in padella con un filo d’olio).
Dopo pochi passi dal punto in cui ci siamo fermati a campeggiare, la West Highland Way incrocia la Caulfield’s Military Road, un’antica strada militare. Nel punto di incrocio troviamo le rovine della Toll House, postazione per la riscossione del pedaggio per l’utilizzo della strada, e un pannello illustrativo con tanto di questionari e casella delle lettere per sondare l’opinione pubblica relativa alla WHW: manutenzione, problematiche, aspettative, tempi e costi per la percorrenza e via dicendo.
Proseguendo sulla strada, un cairn – monticciola di pietre accumulate a formare una piccola piramide – ricorda il punto in cui i membri del Clan MacDonald smisero finalmente di incalzare i sopravvissuti membri del Clan Campbell dopo la clamorosa vittoria nella battaglia di Inverlochy del 1645 durante le Guerre dei Tre Regni tra Inghilterra, Irlanda e Scozia protrattesi per 14 lunghi sanguinosi anni a partire dal 1639. La storica rivalità tra questi due clan è ben conosciuta nelle Highlands scozzesi e avremo modo di parlarne di nuovo nel prossimo articolo, quando raggiungeremo la Valle di Glencoe.
La mattinata scorre veloce tra una pausa e l’altra e il sentiero continua sinuoso lungo la valle chiamata Lairig Mor. Una piacevole sorpresa ci accoglie lungo la via: vi ricordate Ian e Angus? I ragazzi che abbiamo conosciuto sul treno per Fort William due giorni prima appaiono all’orizzonte e i cani corrono a salutarli felici. Ovviamente una pausa per due chiacchiere è d’obbligo, e non manca il whisky! Angus è preparatissimo, sfoggia i suoi bicchierini di metallo e serve uno shot a tutti.
Dopo averci dato qualche consiglio su dove campeggiare una volta giunti a Kinlochleven, ci avviamo ognuno sulla propria strada. La via è costellata di piccoli torrenti e meravigliose dolci montagne tutte attorno. I ruderi di vecchie fattorie abbandonate si alternano lungo il percorso, con i loro muretti a secco, che io e Derek regolarmente esploriamo in cerca di piccoli cimeli nascosti negli spazi vuoti. Troviamo una piccola bottiglietta tonda di vetro, che raccogliamo per aggiungerla alla nostra collezione. Sulle pietre un’incredibile varietà di licheni coloratissimi rompono il grigiore della giornata: in Scozia ce ne sono moltissime specie diverse e la loro presenza è un costante indicatore dell’eccellente qualità dell’aria.
Al termine della valle, una ripida discesa in mezzo a un colorato bosco di faggi e betulle ci conduce a Kinlochleven, un paesino accoccolato ai piedi delle montagne chiamate Mamores, all’estremità orientale del lago salato Loch Leven. Un tempo qui si trovava la fonderia di alluminio più grande d’Europa, aperta nel 1904 e alimentata da un gigantesco impianto idroelettrico.
Ceniamo nella Tailrace Inn, un confortevole alloggio con solo sei stanze da letto e un ottimo bar, che serve eccellente pub grub, semplice cibo tradizionale scozzese. Sui muri sono appese le foto in bianco e nero dei prigionieri di guerra tedeschi che, durante la Prima Guerra Mondiale, sono stati impiegati nella costruzione delle gigantesche condotte dell’acqua lunghe quasi 10 chilometri che alimentavano la fonderia. Un signore inglese, accompagnato dalla moglie norvegese e da tre bellissime cagnoline nere, con la sua birra in mano, ci racconta del proprio impiego nella centrale per la costruzione delle nuove condotte e di quanto sia sorpreso della maestria dei 1200 lavoratori tedeschi che, all’inizio del 1900, costruirono l’imponente impianto. Nelle foto i prigionieri sembrano in salute e sorridono felici all’obiettivo: ci viene raccontato che non se la passassero male, venendo persino pagati giornalmente un prezzo più che dignitoso per l’epoca, pur essendo prigionieri.
Dopo esserci rifocillati, ci dirigiamo al supermercato locale, ancora aperto alle 10 di sera, per rifornirci di snack e di acqua fresca. Inizia però a piovere ed il vento è fortissimo. L’oscurità scende su di noi mentre cerchiamo un posto ideale per piantare la tenda. Alla fine lo troviamo in un bosco di betulle ai margini delle condotte idriche e, dopo esserci organizzati, ci rifugiamo nella tenda per riposare dopo un altra lunga giornata. Il vento non ci darà pace per tutta la notte e ci aspettiamo un peggioramento delle condizioni meteo nei prossimi due giorni.
Finora abbiamo percorso la tappa Fort William-Kinlochleven, per un totale di 22,5 Km, 725 metri di dislivello e tanta forza di volontà! Nel prossimo articolo vi racconterò di tormente di neve e venti furiosi, dell’ascesa più lunga e difficile di tutta la West Highland Way, di paesaggi mozzafiato e selvaggi e di altre storie di Clan e guerre. Continuate a camminare con noi!
[alert type=”success” dismiss=”no”]Leggi la tappa successiva del trekking di Diana, Derek e Mia nelle Highlands scozzesi: da Kinlochleven a Kings House.[/alert]