Il popolo Himba vive nel Kaokoland, delimitato a nord dal fiume Kunene al confine con l’Angola, e a sud dal fiume Hoanib. Una zona tra le meno conosciute e più affascinanti della Namibia. Avremmo voluto addentrarci per una settimana tra le catene montuose dei monti Hartmann che dominano questo paesaggio desertico, alla scoperta di villaggi Himba più remoti, ma per avventurarsi in questa zona impervia è necessario preparare il viaggio con estrema cura.
L’unica strada percorribile collega Sesfontein con Opuwo o Okongwati e Epupa Falls; il resto del Kaokoland occidentale è tra le zone più selvagge dell’Africa meridionale, le piste sono accidentate e spesso percorribili a meno di 10 km/h. Suggeriscono di viaggiare in compagnia ed essere almeno con 2 fuoristrada. Il terreno è roccioso e in generale la regione è priva di negozi, strutture, autofficine, meglio munirsi di telefono satellitare e sapersi arrangiare in caso di guasti all’automobile. L’alternativa è aderire ad un viaggio organizzato, non credo molto frequente, o visitare i soli villaggi Himba raggiungibili da Opuwo.
Gli Himba, sono pastori nomadi discendenti da un gruppo Herero rifugiatosi in Angola per sfuggire alle aggressioni Nama nel XIX secolo. Chiesero asilo ai San (Boscimani) e per questo motivo vennero chiamati Ovahimba (coloro che mendicano). Ritornati nella loro terra nel 1920, non ebbero contatti con i colonizzatori tedeschi a differenza degli Herero, rimasti al Kunene River. Lo stile di vita tradizionale degli Himba è rimasto immutato da allora. Ancora oggi seguono la trasumanza delle mandrie di bovini, di cui vanno orgogliosi e che sono fonte di vita e di credenza religiosa. Conoscono il nostro modo di vivere, ma preferiscono seguire le tradizioni del loro popolo.
Il proprietario del Mopane Camp, dove alloggiamo, ci mette in contatto con una guida locale per visitare uno dei villaggi ad alcune decine di km da Opuwo. In visita ai villaggi, è consuetudine non offrire denaro, ma beni di prima necessità quali farina, caffè, olio, zucchero, tabacco, caramelle, che se accettati dal capo saranno il nostro lascia passare tra i componenti della tribù. Attendiamo in auto la fine della trattativa e veniamo ricevuti. Un salto nel passato, tra piccole capanne, kraal di rami di mopane, sterco e fango, protette dagli animali notturni con un recinto di rami spinosi. La guida sarà il nostro interprete. Ci accolgono i pochi uomini del villaggio, che salutiamo rispettando una precisa gerarchia. Il capo villaggio tra fumi di tabacco, ci chiede il nome, il lavoro, l’età, quanti figli abbiamo, ma soprattutto dov’è l’Italia. I punti cardinali aiutano, ma vuole sapere dei mari e delle montagne che la separano dalla Namibia. La distanza o le ore di aereo, non sono sufficienti, dobbiamo tradurli in giorni di cammino. Siamo in difficoltà ma proviamo a fare un calcolo molto approssimativo… Sembra soddisfatto della risposta e dandoci il benvenuto nel suo villaggio, ci congeda alludendo all’eventualità, un giorno o l’altro, di camminare fino in Italia!
Siamo liberi di girare per il villaggio, fare domande, fotografare, prestando attenzione a non camminare tra il fuoco sacro, il kraal del bestiame e la capanna principale. Gli Himba ci accolgono con curiosità, sopratutto le donne che sono di una bellezza scultorea e di altezza considerevole, eleganti e disinibite, fiere del proprio corpo armonioso, coperto da una gonnellina di pelle di capra, spalmato di ocra rossa mista a grasso e erbe, che come un peeling giornaliero mantiene liscia la pelle, proteggendola da insetti e dal clima desertico.
Scherzano volentieri con noi e quando mio marito, rispondendo a un giovane Himba, minaccia di lasciarmi al villaggio, alcune donne allegramente discutono con lui lo scambio. Non riesco a smettere di scattare fotografie. Le giovani, si riconoscono dalla pettinatura con due trecce rivolte in avanti, mentre dopo la pubertà sciolgono i capelli in tante trecce rasta che impastano di ocra, le donne sposate aggiungono un ciuffetto di pelle di antilope (omarembe), che rivoltano se rimangono vedove; portano monili di ferro, rame, ossa e una conchiglia (ozuhumba) tra i seni. Gli uomini del villaggio mescolano camicie occidentali al loro tipico gonnellino. I ragazzi si cospargono il corpo di grasso e erbe annerite dal fuoco e si rasano mantenendo un ciuffo in mezzo alla testa, lasciandolo crescere e pettinandolo a treccia (ondatu). Da sposati nascondono i capelli con un berretto (ozodumbu) che tolgono solo per dormire o in caso di lutto. La guida ci racconta che dopo il matrimonio la donna entra a far parte del clan del marito senza abbandonare tuttavia il suo clan materno dove porta i figli, che lo considerano la loro vera famiglia; il maggiore eredita dal fratello della madre e non dal proprio padre.
Non vorremmo mai andarcene, ma le donne si allontano, raggiungono i fuochi, è ora di preparare la cena in questa valle ancora in armonia con la natura. La domanda però è: per quanto tempo ancora? I trascorsi degli ultimi decenni, lo sviluppo turistico della Namibia e la società dei consumi arriveranno a minare del tutto la sopravvivenza di questo splendido popolo e delle sue antiche tradizioni. Per ora la natura impervia del Kaokoland ha protetto gli Himba, ma non per molto e non gli abitanti di questi villaggi sempre più facilmente raggiungibili.