Mettetevi comodi. Il viaggio è lungo. Partenza da Bali all’alba, aeroporto di Denpasar; volo per Surabaya, una grande, popolosa e caotica città a Giava est con uno degli scali più trafficati dell’Indonesia. Tappa obbligata, non c’è un volo diretto che vada da Bali a Pangkalan Bum, città del Kalimantan centro ovest in Borneo.
Da Surabaya parte un volo al giorno e abbiamo la fortuna di trovare il biglietto per il giorno stesso. Un’ora e mezza che sorvola stretti e foreste, con la Trigana air, presente nelle migliori black list del mondo, 30 persone in questo piccolo aereo traballante. Arriveremo? E’ la domanda che si scorge nei volti europei che troviamo su questo piccolo spazio angusto di mondo; così come loro troveranno l’interrogativo stampato sulle nostre facce un po’ perplesse.
Arriviamo. L’aeroporto di Pangkalan Bum è uno stanzone con un rullo. Abbiamo un gancio – una coppia di amici – in città che ci indicano un buon hotel, il Mahkota (Jl. P. Antasari), e preparano per noi i tre giorni nel Tanjung Puting National Park.
La sera passa gironzolando tra i mercati e le strade polverose di questa città dove i motorini sono migliaia, le moschee decine e dagli altoparlanti si sentono le preghiere islamiche urlate al cielo, specie in tempo di Ramadan. La popolazione guarda tra l’incuriosito e il divertito questo gruppo di bianchi con i sandali che si aggira in cerca di cibo. Soprattutto inizia quel fenomeno che non ci lascerà fino a quando non saluteremo il Borneo: “Hello, Mr.” ad ogni angolo di strada, ripetuti secondi di celebrità che ti fanno sorridere, poi imbarazzare, poi sentire un po’ prigioniero del tuo personaggio.
Organizziamo per i tre giorni all’interno di uno dei parchi più belli di tutto il Borneo, famoso per gli Orangutan (specie Pongo pygmaeus, scimmie ominidi di circa 1,4-1,7 m), i coccodrilli e la ricchezza non calcolabile di flora e fauna. Il modo più diretto è mettersi d’accordo con qualche organizzazione locale che assomiglia alla lontana ad un’agenzia e stabilire numero di giorni (possibile da 3 a 5), mezzo per navigare (barca da soli o in gruppetti) e standard.
I prezzi non sono affatto docili per l’Indonesia: partono dai 150 euro a testa per i tre giorni, a seconda delle scelte. Ovviamente la nostra ricade su il minimo possibile. Partiamo. Barchetta piuttosto scalcagnata in cui staremo in dieci persone, una guida molto giovane e tante aspettative.
Il primo giorno entriamo nel Tanjung Puting, ci inoltriamo nelle acque e facciamo conoscenza dei primi Orangutan: una bella emozione. Il parco è assolutamente territorio libero e regno degli animali, la parte dove siamo noi però è integrata con un lavoro delle organizzazioni locali e straniere che aiutano gli animali usciti malconci da anni nella giungla.
La sera si cena in barca, rigorosamente riso, pesce, carne e verdure, poi si chiacchiera al buio e sotto stellate inedite. Ad una certa ora scattano materassi per terra e zanzariere, questa è terra malarica. Al mattino il risveglio è fantastico, in mezzo alle acque in mezzo a una delle foreste più grandi al mondo.
Il secondo giorno siamo nel cuore del Tanjung Puting, navigando il cosiddetto Coca Cola river – per il colore del fiume dalle radici degli alberi – un fiume dove l’uomo non è ancora riuscito a distruggere l’ecosistema inquinando. L’acqua è pulita, viene usata per bere e per lavarsi, c’è un piccolo “ma”: la presenza di coccodrilli, anche loro giustamente prediligono le zone libere da sostanze tossiche riversate dagli uomini.
E’ una sensazione suggestiva, navigare su questa barchetta, dormirci e sapere che a pochi metri, sotto le acque, ci sono coccodrilli pronti a degustare chi dovesse pensare di farsi un bagnetto. Leggende locali raccontano ancora di un inglese che, incurante delle avvisaglie, abbia deciso di farsi una nuotata e non sia più riemerso. Vediamo i coccodrilli ogni tanto salire e di notte sentiamo il richiamo di un piccolo verso la mamma, così ci raccontano dei biologi in provetta.
Il terzo giorno lo dedichiamo al ritorno. Quelli nel Tanjung Puting sono momenti da film, lunghi, silenziosi, divertenti, a tratti difficili da pensare. Per arrivare ce n’è voluta di fatica, due aerei, ore di navigazione, costi da non sottovalutare, ma trovandosi di fronte a degli scenari da quadro impressionista e intuizioni da avventurieri possiamo dire che ne vale la pena. Il Borneo è una terra dove è ancora possibile pronunciare la parola “esplorazione”.